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La “grande fuga” dal posto di lavoro: come sta cambiando il pensiero dei lavoratori?

La grande fuga aziendale è un avvenimento che affonda le sue origini in un nuovo modo di concepire le giornate lavorative e il lavoro in generale.

Vediamo meglio di cosa si tratta.

Cos’è la “grande fuga”?

Con questo termine coniato in America, anche definito “Great Resignation” o “Big Quit”, si descrive il recente fenomeno, esteso a tutto l’Occidente, delle dimissioni di massa dal posto di lavoro.

La sua osservazione è nata durante alcuni studi condotti nel corso della prima ondata di Covid-19: attraverso l’esperienza del lockdown e della pandemia in generale, centinaia di migliaia di persone hanno avuto modo di ripensare alle proprie vite e di rimetterle in discussione, sia nella sfera privata che lavorativa.

Quali sono le cause della grande fuga aziendale?

Secondo gli studi svolti dal Prof. Pirro, docente di sociologia del lavoro presso l’Università degli Studi di Roma, non è possibile individuare un’unica causa comune a tutto l’Occidente per spiegare la grande fuga aziendale.

Il fenomeno andrebbe infatti suddiviso in tanti micro-fenomeni, differenziati in relazione a contesti sociali e mercati del lavoro diversi.

L’unico denominatore comune, messo in luce dalla trasformazione portata dal Covid, sarebbe il completo cambio del concetto di lavoro, che cessa di essere l’elemento centrale nella vita dei singoli, con un aumento della ricerca di individualità e una conseguente disgregazione dei legami sociali.

Il tempo, che per due anni si è fermato, costringendo tutti ad imparare a vivere la vita con un altro ritmo, a volte scoprendo per la prima volta il proprio, ha rimesso in discussione il concetto del “super lavoro”, sponsorizzato con forza negli anni ’80 in America e in tutto l’Occidente.

Requisiti fondamentali (considerati un must, quasi un dovere) quali la dedizione assoluta, gli straordinari, la diponibilità illimitata, lo stress lavorativo, lasciano spazio a una visione più equilibrata del lavoro nella vita di ognuno.

La pandemia ha spezzato le routine quotidiane, alimentando riflessioni individuali e collettive, per dedicarsi a quelle parti della vita troppo spesso trascurate: famiglia, hobby, passioni, salute, relazioni sociali.

Subentra quindi la necessità urgente di riappropriarsi del proprio tempo, dedicando al lavoro solo quanto necessario e non di più.

Il ruolo dei social network  

Laddove i disagi sociali, vissuti nello spartiacque temporale rappresentato dal Covid-19, hanno rappresentato un catalizzatore che ha accelerato la grande fuga aziendale, la tecnologia digitale (in particolare i social network) ha rappresentato la base strumentale di diffusione di opinioni e mentalità.

I social sono infatti diventati centrali per diffondere notizie (vere e false) sul mondo del lavoro. Su qualsiasi piattaforma esistono gruppi tematici, che imprenditori e lavoratori usano per comunicare scelte aziendali, talvolta creando trend o casi seguiti su scala internazionale.

Un esempio eclatante è stato il video dello statunitense Zayed Khan, apparso sulla piattaforma Tik Tok, che ha permesso all’espressione “Quiet Quitting” di diventare in poco tempo un trend topic virale, diffondendone anche il motto-manifesto: “Il tuo valore come persona non è definito dal tuo lavoro”.

Per dovere di cronaca, l’economista Mark Boldger aveva già coniato il termine nel 2009, ma i social non avevano la diffusione di oggi e allora Tik Tok non esisteva.

La generazione Yolo e la grande fuga aziendale

La pandemia ha portato dunque non solo all’interruzione di un modo stakanovista di concepire il lavoro, ma ha anche e soprattutto spezzato degli schemi comportamentali, che hanno generato riflessioni individuali e collettive.

L’effetto “Quiet Quitting” ha portato a un cambio di mentalità soprattutto delle nuove generazioni, in particolare la Z, che si affaccia oggi al mondo del lavoro. Lo abbiamo rilevato anche nel nostro ultimo Osservatorio Stage.

Si tratta di giovani nati tra tecnologia, comunicazione digitale e nuove tendenze sociali, che danno estrema importanza al work-life-balance, ai progetti lavorativi chiari, alla giusta retribuzione e si rifiutano di pensare al lavoro come totalizzante.

Sono stati definiti Generazione YOLO (You Only Live Once), ovvero “si vive una volta sola”, in quanto non sono più disposti a vivere per lavorare, ma invece vedono il lavoro come uno strumento finalizzato al raggiungimento di un buon tenore di vita.

Alla base della grande fuga aziendale, come sempre, c’è un disallineamento fra domanda e offerta: salari troppo bassi, un uso eccessivo di contratti a termine, la mancanza di un allineamento valoriale e di adeguamento alle nuove dinamiche post-covid (soprattutto alla possibilità di fare lavorare da remoto).

Tutto questo porta i giovani a fuggire, alla ricerca di qualcosa di più, che possa valorizzare la propria vita, non solo economicamente.

La grande fuga come opportunità per le imprese

Una ricerca dell’osservatorio del Politecnico di Milano indica chiaramente come spesso anche le dimissioni volontarie siano il risultato dell’incapacità delle imprese di sviluppare nuove strategie di employer branding ed employee retention.

Le parole di Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, ci offrono uno spaccato della situazione attuale:

«Non chiamatele grandi dimissioni, ma grandi scelte. Questa crisi sul mercato del lavoro è innanzitutto una crisi di attrattività e di engagement. Le imprese tradizionali italiane faticano ad attrarre e trattenere talenti, rispetto ad aziende di altri Paesi, ma anche a startup che pure raramente offrono condizioni di sicurezza ed equilibrio vita e lavoro migliori. Le retribuzioni e le prospettive di carriera c’entrano, ma non sono davvero il centro del problema. A pesare c’è una gran voglia di coinvolgimento decisionale, di autonomia, di senso della propria vita, di benessere e spazio per le proprie passioni».

Dunque il fenomeno della “Great Resignation” può essere una nuova grande occasione per le imprese che, giocando le giuste carte, soprattutto in ambito HR, potrebbero portare a proprio favore gli effetti della grande fuga aziendale, avviando nuovi percorsi di miglioramento.

Anche l’Associazione Ricerca Felicità ha svolto studi sul tema, misurando lo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale che in quella individuale e sociale.

L’Osservatorio BenEssere Felicità 2023 ha messo l’accento sulla tendenza della grande fuga aziendale a cronicizzarsi, non solo tra i più giovani, soprattutto in relazione a una progressiva diminuzione del senso di appartenenza che i lavoratori avvertono in azienda, non vedendo riconosciuti i propri meriti.

La domanda “Stai pensando di cambiare lavoro a breve?” ha registrato un’incidenza di risposte positive molto elevata, sia da parte degli appartenenti alla generazione Z, che da parte di Millennials e appartenenti alla generazione X.

In questa fase è quindi più che mai fondamentale il ruolo della Direzione HR come funzione guida nelle imprese, che possa diffondere modelli di lavoro sostenibile, che abbiano come obiettivo centrale il benessere e il coinvolgimento dei lavoratori.

Molto interessanti le affermazioni di Elga Corricelli, co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità: “Bisogna ormai rendersi conto che il tema della felicità come meta-competenza e del benessere dei lavoratori italiani non può più aspettare. È quindi fondamentale prendere coscienza di questo cambiamento in atto e concretizzare politiche per creare maggior benessere per tutti e limitare il più possibile la migrazione di talenti all’estero. Quello che rischiamo ogni giorno di più è che, paradossalmente, un lavoro in sede estera risulti più attraente sia in termini di offerta che in termini di benessere lavorativo”.

Leggi tutti i nostri consigli per promuovere il benessere in azienda.


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